giovedì 13 dicembre 2012

Gli indicatori del benessere

Abbiamo già introdotto il nuovo indicatore denominato IWI (vedi il post "L'IWI prende il posto del PIL") sostitutivo del PIL e proposto nel 2012 dall'UNEP che è il Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente.

Dal sito di LifeGate riportiamo qui altri indici alternativi proposti negli scorsi anni: 

Beyond GDP
L’Unione Europea dal 2009 ha lavorato a un nuovo indice statistico che permetta di misurare, oltre alla ricchezza prodotta, anche i progressi ambientali e nella qualità di vita. L'iniziativa è partita a Bruxelles durante la conferenza Beyond GDP (Oltre il PIL) che il governo comunitario ha organizzato insieme a Parlamento europeo, OCSE, WWF e Club di Roma.
Il Canada è il primo grande stato a dotarsi di un rapporto composito sulla crescita ufficiale, tenendo in considerazione come stanno davvero i cittadini, la qualità della vita, le ambizioni. Mostra che dal 1994 al 2008 il PIL del Canada è cresciuto di un robusto 31%, mentre la qualità della vita solo dell'11%.
Ideato nel 1990 dall’economista pakistano Mahbub ul Haq, l'indice è già usato dall'Onu dal 1993 accanto al PIL. Oltre alla tradizionale visione di crescita su parametri economici l'HDI tiene in considerazione diritti umani, difesa dell'ambiente, uso delle risorse locali, alfabetizzazione, servizi sanitari e sociali, pari opportunità. La scala dell’indice è decrescente da 1 a 0. 
Capitale umano, capitale costruito, capitale sociale, capitale ambientale: su queste quattro categorie si impernia il GPI. Elaborato da Redefining Progress nel 1995, a differenza del PIL considera il contributo economico (stimato) di tutti i servizi del volontariato e sottrae le spese dovute a inquinamento, divorzi, disoccupazione, crimine, esercito. Mentre il PIL procapite è aumentato negli ultimi 50 anni, la crescita del GPI s'è arrestata verso la metà degli anni Settanta.
Elaborato nel 2005 dalle università Yale e Columbia, è la pagella annuale degli sforzi degli Stati per raggiungere 22 obbiettivi ambientali, dall'acqua alle emissioni di CO2 procapite. Nell'edizione 2012 stilata con il centro europeo di Ispra e il WEF, l'Italia è ottava (cinque anni fa era ventisettesima). 
L'indice dell'impronta ecologica ideato nel 1996 mette in relazione il consumo umano di risorse naturali con la capacità della Terra di rigenerarle. Ovvero: quanti pianeta Terra occorrono se non modifichiamo i nostri stili di vita? Nel 1961 ne servivano 0,7. Oggi, oltre 1 e mezzo. Calcola anche le differenze fra stati. I più spreconi sono Emirati Arabi (con un valore di 12 contro una media mondiale di 2,2) poi Usa (9,6) e Canada (7,6). Meglio, ma non abbastanza, l'Europa (4,8). 
La Banca Mondiale nel 1999 ha messo a punto questo indice che misura la variazione netta nel valore del capitale di un Paese, correggendo il PIL su quattro punti: aggiunte le spese per l'educazione (investimenti nel capitale umano) e detratti i costi delle risorse naturali depauperate e dell'inquinamento.
Elaborato annualmente dall'omonima fondazione olandese, offre un grafico a orologio su 25 fattori per ogni stato, Italia compresa. A livello mondiale, la sostenibilità si attesta sul 5,9 sul totale di 10. 
Un indice di felicità con radici di scientificità è stato sviluppato dalla New Economics Foundation di Londra. È compilato con un'indagine che incrocia i dati sulle risorse utilizzate da un dato Paese con l’impronta ecologica, l'aspettativa di vita e la felicità dei suoi abitanti.
(Testi tratti dal sito di LifeGate)

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