giovedì 20 dicembre 2012

La Decrescita è selettiva!

Quando si parla di decrescita economica, in generale non si intende la pura e semplice diminuzione di tutti i consumi; in realtà si vuole intendere la decrescita selettiva di tutte le merci che non sono beni.

La differenza tra merci e beni, ben espressa dalla teoria della decrescita, l'abbiamo già introdotta in un precedente post (vedi "Beni e Merci secondo la Decrescita"); qui ricordiamo che non tutte le merci rappresentano un bene (cioè non rispondo ad un nostro reale bisogno) mentre solo alcuni beni sono merci (cioè devono per forza essere acquistati sul mercato).

Ora, definire esattamente cosa sia per ognuno di noi (o per la collettività) un reale bisogno non è sempre facile ma è evidente che ci sono casi evidenti, come ad esempio quelli del risparmio energetico e della riduzione dell'inquinameno ambientale, che possono essere ben definiti e quindi valutati di conseguenza.

In tutti questi casi possiamo promuovere la decrescita selettiva, sia attuando delle politiche di contenimento energetico e di riciclo dei rifiuti inquinanti ma anche attivandoci nella auto-produzione di alcuni beni.
Facciamo due esempi classici per la decrescita, spesso proposti dal presidente del movimento MDF Maurizio Pallante:

- La coibentazione degli edifici (vedi tutta l'intervista sul sito Il Cambiamento):
"Un edificio mal costruito, che disperde gran parte del calore, fa crescere il PIL di più degli edifici ben costruiti che non disperdono il calore.
I 13 litri in più, che in media si consumano in una casa mal costruita, sono una merce che si paga e che viene sprecata, ma non sono un bene perché non serve a riscaldare.
Se ci fosse un governo che predisponesse come punto centrale della sua politica economica la ristrutturazione degli edifici che consumano 20 litri si andrebbe verso una decrescita felice del PIL".

- Il vasetto di yogurt (dal libro "La Decrescita Felice" di Maurizio Pallante):
"Lo yogurt prodotto industrialmente e acquistato attraverso i circuiti commerciali, per arrivare sulla tavola dei consumatori percorre da 1.200 a 1.500 chilometri, costa 5 euro al litro, viene con­fezionato al 95 per cento in vasetti di plastica quasi tutti monouso, raggruppati in imballaggi di cartoncino, subisce trattamenti di conservazione che spesso non lasciano sopravvivere i batteri da cui è stato formato.
Lo yogurt autoprodotto facendo fermentare il latte con oppor­tune colonie batteriche non deve essere trasportato, non richiede confezioni e imballaggi, costa il prezzo del latte, non ha conser­vanti ed è ricchissimo di batteri…"
E prosegue:
"… Tuttavia questa scelta, che migliora la qualità della vita di chi la compie e non genera impatti ambientali, comporta un decremento del prodotto interno lordo: sia perché lo yogurt autoprodotto non passa attraverso la mediazione del denaro, quindi fa diminuire la domanda di merci; sia perché non richiede consumi di carburante; sia perché non richiede confezioni e imballaggi, quindi fa diminuire i costi di smaltimento dei rifiuti".
(Qui si possono leggere alcuni estratti del libro citato)

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